Significa tenere viva la speranza attraverso la tenerezza della carità, appoggiandosi sul potente mistero del Signore della vita, cioè il Cristo risorto

di monsignor Pierantonio TREMOLADA
Vescovo ausiliare

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Quando la misericordia si prende cura dell’afflizione, cioè del dolore, diviene consolazione. La promessa dei profeti si fonde con l’invito: «Come una madre consola un figlio così io vi consolerò, in Gerusalemme sarete consolati» (Is 66,13); «Consolate, consolate il mio popolo. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è finita» (Is 40,1). Il Vangelo annuncia come compiuta questa promessa di consolazione presentandoci il volto di Gesù: egli è venuto ad asciugare le lacrime. Lo fece in più occasioni, come quando incontrò alle porte del villaggio di Nain in Galilea quella madre vedova che stava accompagnando alla sepoltura l’unico suo figlio (Lc 7,13).

«Consolatore» è uno dei modi in cui traduciamo il termine greco parákletos, con il quale Gesù designa lo Spirito santo. Il «Consolatore» è colui che starà a fianco nella battaglia processuale intrapresa dal mondo contro i credenti, l’avvocato difensore su cui ci si appoggerà, ma anche colui che darà respiro, sollievo, sicurezza, riposo. Occorre che questo avvenga anche quando si tratta delle reciproche relazioni tra persone: occorre diventare consolatori. Come farlo? Attraverso la presenza amica, la parola amorevole, la condivisione generosa, il farsi carico dei pesi altrui. A volte – quando il dolore sarà particolarmente acuto – sarà indispensabile il silenzio, affettuoso e umile, quasi disorientato, che rifiuta parole di circostanza e frasi fatte (ricordiamo la vicenda di Giobbe e dei suoi amici presuntuosi!). E non ci si dovrà vergognare di piangere, senza disperazione, se per il dolore il nostro cuore non riuscirà a trattenersi: anche Gesù lo fece davanti alla tomba dell’amico Lazzaro (Gv 11,35).

Consolare è tenere viva la speranza attraverso la tenerezza della carità, appoggiandosi sul potente mistero del Signore della vita, cioè il Cristo risorto: «Chi crede in me anche se muore vivrà – dice Gesù a Marta, sorella di Lazzaro – e chiunque vive credendo in me non morrà in eterno» (Gv 11,25-26).

Il nostro presente e il nostro futuro sono nell’eternità di Dio. La morte non è in grado di annientare questa potenza di vita. Essa infatti scaturisce da Dio come luce benefica che irradia nei cuori, come sorgente zampillante che nel tempo sa dare pace, anche quando le ferite sono profonde e dolorose.