Farlo con lo stile del Vangelo permette di coniugare la misericordia di Dio con la sua giustizia, chiamando il male col suo nome e insieme facendo sentire la forza del bene

di monsignor Pierantonio TREMOLADA
Vescovo ausiliare

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L’esperienza del male è tristemente abituale per l’uomo. Farsene carico con misericordia vuol dire anzitutto “ammonire i peccatori”. È la terza opera di misericordia spirituale.

Il verbo “ammonire” contiene risonanze molteplici. Significa anzitutto difendere gli uomini dalla potenza mortale del peccato: chi ammonisce come si deve, viene in soccorso alla libertà ferita dal male e all’accecamento della coscienza. La serietà del male e delle sue conseguenze non vanno sottovalutate. Minimizzarne la portata vorrebbe dire fare il gioco del male stesso, consentendogli di prendere piede con la sua energia distruttiva. San Paolo ricorda che il peccato porta sempre con sé la morte, cioè l’esperienza distorta della vita e quindi la tristezza (cfr Rm 5,12).

Occorre dunque ammonire chi fa il male, arrivando fino a denunciare il peccato, proprio per riscattare colui che lo ha compiuto. La forma della denuncia potrà essere in alcuni casi molto severa, arrivando fino alla scomunica. Lo ha fatto tempo fa papa Francesco rivolgendosi ai clan mafiosi. Ammonire tuttavia non significa condannare. Significa certo formulare un giudizio, cioè una onesta valutazione di ciò che è accaduto riconoscendo con lucidità il male compiuto, ma sempre e solo con il desiderio di vedere salvato chi ne è stato responsabile. Il cuore che ammonisce è sempre un cuore benevolo e lo stile è quello della carità, che coniuga fermezza e dolcezza. Come quando si toglie una pagliuzza dall’occhio di un altro: operazione estremamente delicata! (cfr Mt 7,3).

Ammonire i peccatori con lo stile del Vangelo permette di coniugare la misericordia di Dio con la sua giustizia, chiamando il male con il suo vero nome e insieme facendo sentire tutta la forza del bene che già è in corsa per guarirlo. Nel desiderio di vedere l’altro salvo, desiderio che traspare nelle parole sincere e rispettose di chi sa correggere, si manifesta l’energia potente dell’amore di Dio che salva. Di questo amore si fa testimone il profeta, quando presta la voce al suo Signore che dice: «Io non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (cfr Ez 18,23).