Oltre 1000 preti si sono riuniti in Duomo per la celebrazione del Sacramento della riconciliazione. L’Arcivescovo, nel suo intervento, ha sottolineato la gioia per una presenza presbiterale così significativa e ha indicato alcuni gesti con cui vivere l’atteggiamento di confessione

di Annamaria BRACCINI

Un esercizio di presbiterio e di conversione umile e gioiosa. Un gesto «straordinario, momento privilegiato di testimonianza per tutto il nostro popolo. Vedervi così numerosi e partecipi è una grande consolazione perché dice che il tronco della Chiesa ambrosiana, che noi siamo, è solido e non ha incrinature». In queste parole del cardinale Scola tutto il senso di ciò che 1000 preti ambrosiani e religiosi, cui si aggiungono i Diaconi permanenti e i seminaristi, vivono nella convocazione del Presbiterio diocesano in Duomo, nella Festa liturgica del compatrono San Carlo Borromeo, riformatore del clero e della Chiesa. Un pregare insieme, con e tra sacerdoti che ha, come cifra fondamentale, l’atteggiamento penitenziale e il sacramento della Riconciliazione, cui i preti si accostano tra le navate della Cattedrale, confessandosi gli uni agli altri.  

Le testimonianze

Dopo l’ascolto della Parola di Dio, nel primo momento in cui si articola la Celebrazione – la Confessio Laudis – trovano spazio le testimonianze di tre sacerdoti di diverse età.

Don Riccardo Miolo, 30 anni, prete dal 2012, vicario parrocchiale alla Beata Vergine Addolorata in San Siro, dice: «Sono felice di essere stato chiamato a fare parte di questo Presbiterio e di aver ricevuto un “centuplo” che ha il volto di donne e uomini incontrati anche nella sofferenza. Ringrazio il Padre per la parrocchia a cui sono stato affidato e a cui mi affido. Ringrazio anche tutte le donne, che cercano nei sacerdoti un amore umano e casto che non rinuncia agli affetti, ma combatte la malizia».

Don Vittorino Zoia, responsabile della Comunità pastorale Epifania del Signore a Brughiero, 43 anni di Messa, osserva: «Ci sono momenti nei quali si pensa alla propria storia. In famiglia e in Seminario ho imparato il perdono e la conoscenza di Gesù, che è diventata profonda e mi ha riempito il cuore. Grazie, Signore, per quella Eucaristia che mi dai di celebrare ogni giorno e che, per me, è roveto ardente. Grazie perché mi hai chiamato a essere prete e non ti stanchi di me. Fa’che io non mi stanchi di chiederti perdono».

Infine, monsignor Claudio Livetti, 85enne residente al Pime di Busto Arsizio, che cita “Cura Brochero”, il sacerdote argentino dei Gauchos canonizzato il 16 ottobre. «“Questi stracci benedetti che porto addosso non mi fanno sacerdote, ma è la carità”. Oggi ci sentiamo misericordiati e misericordiosi».

L’esame di coscienza

Poi la Confessio Vitae, l’esame di coscienza, affidato a monsignor Angelo De Donatis, vicario di Roma, incaricato per la Formazione permanente del Clero: «Sappiamo che la comunione è un dono di Dio, ma essa è minacciata e occorre purificarla e ritrovarla».

Le “malattie” indicate nel Natale 2014 da papa Francesco, annodano il filo rosso della sua riflessione. La malattia del sentirsi immortale e indispensabile, del “martalismo” – Marta che si sente strattonata da tutte le parti e non riesce più ad ascoltare il Signore -, dell’impietrimento mentale e spirituale, dell’eccessivo funzionalismo, dell’Alzheimer spirituale, della rivalità, della vanagloria, della schizofrenia esistenziale, della doppia vita, dei pettegolezzi, dell’indifferenza verso gli altri, della faccia funerea, dell’accumulo dei beni materiali, degli esibizionismi e dei circoli chiusi… «Ciò che deve colpire non è una diagnosi dei sintomi della malattia comunionale, ma è il sentire che la comunione è alla base della vita – dice -. Il peccato più grande è non desiderare più la comunione. Siamo parte di un corpo, non andiamo avanti a livello individuale, il che renderebbe infecondo il nostro Ministero. Se ci dimentichiamo di chi ci ha chiamato e di avere nella Vergine una madre, saremo orfani senza destino».

Scola: un’occasione privilegiata

Poi il momento della Confessione sacramentale – molti i Francescani arrivati in Duomo per questo gesto -, a cui si accosta anche l’Arcivescovo, che poco dopo interviene: «Lo straordinario gesto che stiamo concludendo, diventa un momento privilegiato di testimonianza per noi qui e per tutto il nostro popolo Vedervi così numerosi e partecipi è una grande consolazione perché dice che il tronco della nostra Chiesa ambrosiana, che noi siamo, è solido, non ha incrinature. Le sue radici sono profonde e oggi si vede fisicamente che questo tronco fa passare tutta la linfa e non trattiene la vitalità della nostra Chiesa». Il pensiero e l’abbraccio sono per sacerdoti malati o anziani, per chi, a causa di motivi pastorali, non ha potuto essere in Duomo, «per tutti coloro che sono passati dai nostri Seminari, qualunque sia stato il loro cammino».

Il richiamo dell’Arcivescovo è all’espressione di San Carlo – «lavare le anime nel sangue di Cristo» – «che descrive con forza il mistero della Misericordia del Padre in cui ci siamo immersi in prima persona soprattutto come attori in confessionale dell’Anno santo. Questo straordinario Ministero di riconciliazione è espressione essenziale della nostra vocazione, dell’essere stati presi a servizio. Il sangue di Cristo ha fatto di noi membra del suo corpo, del popolo santo di Dio. Il gesto giubilare, che come Presbiterio viviamo, è, quindi, un’occasione privilegiata: siamo Ministri della riconciliazione, ma lo siamo in quanto peccatori redenti».

L’atteggiamento con cui vivere questa dimensione fondamentale è quello della confessione, sottolinea Scola. «Atteggiamento che deve pervadere tutta la nostra esistenza. Sento questo tema decisivo per la mia vita e il mio Ministero», nota. Per questo occorre «anzitutto accostarsi regolarmente al Sacramento della riconciliazione con consapevolezza e dolore e potendolo fare in forma comunitaria». Un’indicazione importante per il ruolo di confessore del prete in mezzo alla gente: «Non dimentichiamo che siamo buoni Pastori perché buoni Padri, e che, quando un peccatore arriva al confessionale, ha già fatto il 90% del cammino, specie in una società come quella di oggi».

In secondo luogo, «tale atteggiamento ci chiede una benefica e diuturna tensione per vivere tutti gli effetti della missione affidataci e di farlo mediante una consegna della nostra esistenza che è una “pro-esistenza”, un vivere per, in favore di ogni singolo uomo. Di fronte al dato oggettivo della redenzione con il suo sangue, Gesù risponde con il dono totale di sé: a questo occorre conformarci. In Lui persona e missione coincidono: noi, poveri uomini, possiamo solo tendere a questa unità, ma dobbiamo farlo. L’atteggiamento di confessione è condizione imprescindibile nella vita del sacerdote». Infine, vivere questo stesso atteggiamento «attraverso un ascolto di fecondazione che immerge nella storia, nella realtà, nel quotidiano, favorendo la sequela di Cristo come fattore unificante. In questo modo tutti i fattori ecclesiali ricevono vera luce e divengono testimonianza che scalda i cuori».

Tre proposte e un appello

Da qui alcune raccomandazioni ai sacerdoti: «Aiutare i nostri fedeli a prepararsi al grande dono della Visita del Santo Padre, a continuare la Visita pastorale, a vivere l’augurio natalizio del Vescovo alle famiglie e ai bambini, ai cresimandi come fattori che intendono incarnare la Lettera pastorale Educarsi al pensiero di Cristo».

Tre le proposte del Cardinale: «Un gesto di riconciliazione con un confratello con il quale i rapporti si siano guastati; una preghiera per il Papa e per i frutti che ci attendiamo dal suo viaggio a Milano; la visita a un confratello malato».

E alla fine, ancora un appello ai presbiteri perché qualcuno di loro si renda disponibile a essere inviato, come missionario fidei donum, a Santiago di Cuba, rispondendo così alla richiesta pervenuta dall’Arcivescovo di quella Diocesi.