La testimonianza di monsignor Bressan sulla meditazione del pomeriggio di papa Francesco al Giubileo dei sacerdoti

di Luca BRESSAN
Vicario episcopale per la Cultura, la carità, la missione e l’azione sociale

Come fare della misericordia l’arma per il rilancio della vita presbiterale? La meditazione del pomeriggio – quella che ha chiuso il breve ma decisamente incisivo ciclo di papa Francesco predicatore e maestro di esercizi spirituali per preti – fornisce a questa domanda quattro risposte che possono essere assunte come quattro piste per lo sviluppo di una identità presbiterale adeguata al tempo di transizione culturale che stiamo vivendo. E tutte e quattro le piste hanno come punto prospettico di riferimento Gesù, il suo modo tutto originale e al tempo stesso molto concreto di incarnare questa virtù di Dio suo e nostro Padre.
Come fare della misericordia l’arma per il rilancio della vita presbiterale? Una prima pista può essere detta così: è questione di odori (e di profumi). L’unico senso che il mondo digitale trascura perché non sa come assumere e gestire è invece il punto di ingresso nell’esperienza della misericordia di Dio. La misericordia è questione di olfatto: non teme gli olezzi (che sono l’altra faccia del realismo dell’esperienza quotidiana) del popolo, non li copre, non li maschera con la cosmesi, ma li abita, sapendo di poter portare lì dentro il profumo dell’amore di Cristo, anzi sapendo che di questo profumo può scoprire nuove fragranze proprio nel contatto gomito a gomito con quel gregge che prima del prete è di Gesù, di Dio suo Padre.
Una seconda risposta vede il rilancio della pratica della confessione. Per il prete la confessione è lo spazio che impedisce al suo ministero di diventare burocratico o funzionale, permettendogli di sperimentare le gioie e le emozioni di un padre che vive nel quotidiano la sua vocazione educativa. Contro le deformazioni di una vita presbiterale ridotta a professione e a lavoro, il ministero della confessione è lo spazio che consente al prete di dare realismo a quell’amore che ricrea, sperimentato in prima persona dal prete stesso, peccatore perdonato e ricreato proprio da quella misericordia che nella confessione ha il dono di amministrare. Contro le tentazioni del denaro e del potere, il ministero della confessione vissuto in modo costante e quotidiano è il migliore strumento per accompagnare l’evoluzione della figura presbiterale in atto.
Una terza risposta è data dalla declinazione sociale delle opere di misericordia. La storia ci consegna il ritratto di una Chiesa (e di un suo clero) che si è macchiata di molte colpe – ci ha ricordato papa Francesco –, ma che non è mai venuta meno a questa fedeltà: tenere i poveri vicini a sé, trovare sempre nuove vie per dare concretezza e presenza alle opere di misericordia. L’invito è ovvio: i presbiteri sono chiamati a rilevare il testimone, poiché tocca a loro assumere questa eredità e spenderla come la moneta preziosa che dà carne all’annuncio della salvezza cristiana.
Infine, quarta e ultima pista, la misericordia è lo strumento in grado di rilanciare l’identità presbiterale odierna se è assunta nella sua capacità di generare relazioni, legando il prete alla sua gente, e consentendo al popolo di identificarsi nel proprio pastore. Non c’è soltanto l’odore delle pecore; anche le pecore hanno il desiderio di poter respirare e sentire come proprio l’odore del pastore, creando in questo modo un legame di affetti e di sentimenti che va al cuore delle vite, e permette a tutto il popolo di Dio di attingere alla misericordia che Dio immette nelle nostre storie.
Non sprecare il dono della misericordia di Dio; riscaldare e ravvivare la propria vocazione presbiterale al calore di questa fiamma: è questo il pressante invito del predicatore-Papa. Da qui scaturisce la gioia dell’evangelizzazione (evangelii gaudium), che si fa anche gioia dell’evangelizzatore.