Nella Basilica di Sant’Ambrogio, l’Arcivescovo ha oltrepassato la Porta Santa e celebrato il Giubileo dei Lavoratori. Chiaro il suo richiamo a non dimenticare mai il rapporto fondamentale tra giustizia ed eguaglianza

di Annamaria BRACCINI

Il lavoro e la giustizia sociale, la necessità di giocarsi in prima persona e di sfuggire agli idoli del danaro, l’urgenza di una collaborazione collettiva capace di promuovere equità, integrazione e una vita migliore, specie per chi non ha un’occupazione. È un appello articolato e dalle molte implicazioni, quello che il cardinale Angelo Scola rivolge all’intera comunità civile ed ecclesiale presiedendo il Giubileo dei Lavoratori, celebrato nella Basilica di Sant’Ambrogio come momento che tradizionalmente la Chiesa ambrosiana dedica al lavoro in occasione della Festa nazionale del 1° maggio.

Presenti, in rappresentanza del sindaco di Milano, la vice Balzani e l’assessore Granelli, il presidente del Consiglio regionale Cattaneo e il consigliere Pizzul, i responsabili di articolazioni come le Acli e l’Mcl con i rispettivi presidenti Petracca e Gut. Alla Veglia si aggiunge il passaggio della Porta Santa, oltrepassata dall’Arcivescovo col vicario episcopale di Settore monsignor Luca Bressan, il responsabile del Servizio per la Pastorale sociale e del Lavoro don Walter Magnoni e una delegazione in rappresentanza delle varie componenti e realtà del mondo lavorativo.

Con tante e diverse voci ci si rivolge al Signore chiedendo perdono delle illusioni generate dalla finanza, per lo sfruttamento, per le mancate misure di sicurezza, per il malcostume, per l’unico scopo della massimizzazione dei profitti, in una liturgia penitenziale e di conversione che è il “cuore” del rito. «Un gesto che parte dalla nostra libertà che si coinvolge, anche se questo è sempre più faticoso nelle nostre comunità e associazioni, in un tempo in cui è facile cadere nella staticità. È l’effetto di una società basata sullo spettacolo che indulge a un’attitudine passiva», osserva subito il Cardinale.

Esattamente il contrario di ciò che indica una consapevole partecipazione al Giubileo, che «implica il mio, il tuo coinvolgimento personale, altrimenti il valore del lavoro non entra in gioco e non è meditato» nella sua realtà di libertà ecclesiale e civile. «Ecco perché – continua Scola – è molto importante cogliere la dimensione penitenziale di questo gesto, che per noi cristiani significa mettere in gioco la nostra mancanza di fronte a Dio, alla famiglia umana e le ferite che infliggiamo al cosmo».  

Nel filo rosso che intreccia la riflessione dell’Arcivescovo – la pagina della parabola di Matteo, 20 con il padrone che prende a giornata i lavoratori per la sua vigna – si snoda, così, il senso «di un insegnamento prezioso per il lavoro, ambito necessario di sviluppo umano e via di maturazione personale», come sottolinea papa Francesco nell’Enciclica Laudato si’. Chiara, nelle parole di Scola, l’analisi della situazione attuale, basata su una disuguaglianza in cui «la giustizia è calpestata, dove non si è allineati nemmeno in partenza», dove «sempre più si oppongono, bene e male, poveri umiliati e violenti, semplici e scaltri bugiardi». Tanti modi di esprimere l’unica questione radicale – richiamata anche nella pagina evangelica – del rapporto tra giustizia ed eguaglianza, reso vano dall’«egoismo umano».  Tragiche e, sotto gli occhi di tutti, le conseguenze: «La mancanza di lavoro, la disoccupazione giovanile (con il dato impressionante che le generazioni di oggi sono più povere di quelle precedenti), il fenomeno triste della disoccupazione dopo i 40 anni, i morti sul lavoro, ben 61 solo nell’ultimo mese».

Come uscire, allora, da questa crisi che più che economica pare la crisi di un’epoca? «Non limitandoci al nostro egoistico interesse, e riconoscendo – come svela sempre la parabola di Matteo – il senso della vita intera come vocazione, come essere presi a servizio. Siamo chiamati a superare la tentazione egocentrica e ad assumere una benefica tensione per il bene comune», per combattere una tentazione ancor più subdola e presente, «quella dell’idolo del denaro», come scrive il Papa in Evangelii gaudium. Occorre, insomma, «lavorare per il tutto, non per la parte: pensiamo a quante voci oggi si levano per dire che gli immigrati tolgono lavoro alla nostra gente».

«Chiediamo di inserire la sfera lavorativa nel cammino di significato e di direzione che è richiesto a ogni uomo e cristiano, nel cammino che fu, per molti anni, di Gesù lavoratore e che, nella Sacra Famiglia, ci insegna che non si può separare il lavoro dal riposo se vogliamo vivere in maniera equilibrata tutte le nostre esperienze. La fede implica, nel rispetto della vocazione personale, una dimensione sociale, culturale e politica». È per superare tale logica che si deve affrontare «il delicato compito di comporre i diversi interessi dentro l’interesse generale». Per questo serve una «politica capace di costruire amicizia civica e valorizzare tutta la società civile, in cui ognuno sia chiamato a fare la propria parte per promuovere la dignità del lavoro, altrimenti la vita diventa scialba».

Da qui l’appello per il Fondo Famiglia Lavoro: che «nella sua terza fase sarà dedicato il più possibile, con la collaborazione di tutti, alla ricerca di posti di lavoro per chi ne ha tanto bisogno».