La celebrazione nei sette istituti di pena della Diocesi con i Vicari episcopali. Ileana Montagnini: «L’Anno santo ha ribaltato la prospettiva, indicando il carcere come luogo di speranza e non di disperazione»

di Luisa BOVE

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Domenica 13 novembre si celebra il Giubileo dei detenuti nei sette istituti di pena sparsi sul territorio ambrosiano. «È questa la giornata scelta dalla Diocesi – spiega Ileana Montagnini, responsabile dell’Area carcere di Caritas ambrosiana -. Riflettendo con i cappellani e con l’Arcivescovo si è deciso di non sovrapporre le date per permettere a una delegazione di poter partecipare al Giubileo di Roma la settimana scorsa. Il desiderio era di dare comunque un segno concreto e visibile a tutti quei detenuti che non avrebbero potuto partecipare alla celebrazione con papa Francesco».

In ogni carcere quindi sarà presente un Vicario in rappresentanza del cardinale Angelo Scola: a San Vittore, monsignor Mario Delpini; a Bollate, monsignor De Erminio Scalzi; a Opera, monsignor Bruno Marinoni e monsignor Luca Bressan; a Monza, monsignor Pierantonio Tremolada; a Lecco, monsignor Luigi Stucchi; a Varese, monsignor Franco Agnesi (per motivi organizzativi del carcere la celebrazione è nella serata di sabato 12); a Busto Arsizio, monsignor Paolo Martinelli.

Qual è il significato di questa modalità?
L’idea, simbolicamente, è che l’Arcivescovo raggiunge le carceri della sua Diocesi, attraverso i Vescovi ausiliari. Partono, idealmente, dalla Curia e vanno nei vari istituti a celebrare la Messa della domenica e poi propongono una celebrazione penitenziale e giubilare nei reparti o con altre modalità. Lo scopo è quello di raggiungere il maggior numero di persone e di consegnare loro il messaggio di augurio e di benedizione dell’Arcivescovo: un cartoncino su cui è riportata una preghiera di intercessione alla “Madonna che scioglie i nodi”.

Come viene organizzato il momento penitenziale?
Nei diversi luoghi del carcere ci sarà una preghiera comune. In alcuni istituti, dove i numeri lo consentono, ci saranno anche momenti più conviviali, almeno là dove è stato possibile organizzarli, anche se al centro resta la Messa e la preghiera penitenziale e di intercessione cui non partecipano solo i detenuti di fede cristiana. In alcuni percorsi di preparazione al Giubileo infatti i cappellani hanno visto la partecipazione anche dei musulmani perché riconoscono nella preghiera di intercessione e penitenziale un momento di spiritualità.

Il Giubileo straordinario si conclude con i detenuti…
Bisogna dire che già dalla Bolla di indizione questo Giubileo aveva una particolare attenzione rivolta alle persone che scontavano la pena, anche nel carcere. L’intuizione felicissima è stata quella di considerare la porta non come luogo di separazione, ma di “passaggio santo”, se la persona è disposta spiritualmente. Aver indicato la porta della cella come “porta santa” ha già ribaltato molto la prospettiva in quest’anno giubilare. In tal modo si indica il carcere come luogo di speranza e non di disperazione.

È in questa linea che i detenuti sono stati accompagnati dai cappellani?
Sì. Ogni istituto infatti ha proposto un cammino di preparazione al Giubileo, secondo le proprie esigenze e gruppi dai cappellani e dai loro collaboratori. C’è chi ha fatto un vero e proprio pellegrinaggio spirituale, con tanto di adesione, incontri e momenti di riflessione.

In quanti hanno partecipato alla celebrazione a Roma?
Erano circa 150 i detenuti partiti dagli istituti del territorio ambrosiano e dalla Lombardia 3.500. Quello che ha colpito tutti è stato il coinvolgimento delle famiglie. Il fatto che fossero presenti insieme nella celebrazione e lo stesso ritrovarsi è stato vissuto con grande commozione. È quell’umanità del carcere e dei detenuti che la società tende a dimenticare. Il carcerato non è una monade nell’universo, ma intorno a lui c’è un contesto che è ugualmente vittima: mogli, mariti, figli… Tutti si sono ritrovati figli di un unico Padre.

Sono state importanti anche le parole del Papa all’Angelus…
Certo. La richiesta di perdono era mondiale. Questa apertura al mondo è ciò che caratterizza il Pontificato di Francesco. Non escludo che ci siano Paesi che nelle prossime settimane possano risolversi, anche politicamente, con un gesto di clemenza, di indulgenza. Noi ci abituiamo a guardare nel piccolo, soprattutto nella realtà carceraria, invece siamo di fronte a un respiro mondiale. Dobbiamo imparare ad alzare lo sguardo.