Nel carcere milanese la Messa di inizio Giubileo è stata celebrata “in rotonda” da don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani italiani, alla presenza dei detenuti e del coro Shekinah che ha animato la funzione

di Luisa BOVE

1-119985

«Dio vi è vicino, entra nelle vostre celle: apritegli la porta del cuore!». È questo il messaggio lanciato ieri nel carcere di San Vittore per l’apertura dell’Anno Santo. A celebrare la Messa è arrivato da Roma don Virgilio Balducchi, per 20 anni cappellano a Bergamo e ora ispettore generale dei cappellani di tutta Italia. Come ogni giorno di festa le celebrazioni in piazza Filangieri sono tre: alle 8.30 in “rotonda”, alle 9 al “clinico” (il reparto dei ricoverati) e alle 10.30 nella cappella delle donne. Alle 8 il coro Shekinah sta già provando i canti accompagnato dalla chitarra e i primi detenuti arrivano alla spicciolata. Da un paio d’anni infatti alcuni carcerati a turno possono partecipare alla messa all’interno della “rotonda”, mentre gli altri assistono rimanendo dietro le sbarre nei corridoi che si affacciano all’altare.

A San Vittore non c’è una Porta Santa da aprire, ma la messa inizia con un gesto simbolico: «Entreremo in processione in tutti i raggi con la lampada del Giubileo», spiega il cappellano don Marco Recalcati, «perché è Dio che viene a cercarci, entra e si fa vicino». Il coro accompagna i passi dei celebranti con il canto di Taizé forse più appropriato: Misericordias Domini.

Il clima è sereno, di raccoglimento e preghiera, gli stessi agenti in “rotonda” sono una presenza discreta, anche se sono lì a svolgere il loro lavoro di sorveglianza. Don Virgilio augura a tutti di riuscire a godere di questo Anno Santo, anche se sa che «le sbarre e il contesto non vi aiutano a dire: “Come sono contento!”». Ma accogliendo l’invito, rivolto a lui e a tutti i cappellani italiani da papa Francesco, ripete: «Andate e a dirgli che il Signore è già là con loro!». Eppure la reazione nei confronti di Dio per chi è recluso è duplice. Si può dire: «Sono contento che sei con me e comprendo che qualcosa di bello può avvenire anche se sono qui dentro» oppure «Perché mi lasci qui in cella? Tu non sei buono». Anche il lamento, anche la bestemmia, può diventare preghiera, assicura don Virgilio: «Se ti lamenti, è perché già un po’ credi, altrimenti neppure ti relazioneresti con Dio».

«Il Giubileo della misericordia ci dice in concreto che Dio vuole entrare nella nostra vita, il problema è quanto lasciamo aperta la porta del cuore». Il cappellano invita a non scappare, ad assumersi le proprie responsabilità, ad accettare il peso della situazione, ma anche ad «ascoltare Dio» perché «lui ci dice come tirare fuori il meglio di noi stessi». «So che non è facile», dice don Virgilio guardando i detenuti negli occhi: «È un augurio». Perché tutti possono essere ancora buoni, «possono scegliere ancora il bene, qualunque cosa sia successa nella loro vita». «Tu puoi cambiare, ognuno può cambiare!», insiste il cappellano. «In fondo è questo che chiedono anche i vostri familiari, quando non sono troppo arrabbiati: che siate migliori. È lo stesso desiderio di Dio».

«Non lasciamoci rubare la speranza». Sono le parole di papa Francesco e don Virgilio le ripete ai carcerati, «anche se un conto è stare qui sei mesi, 10 anni o fine pena mai». E la cartina tornasole per capire «se Dio è entrato nel vostro cuore, sta nel modo in cui trattate gli altri: i compagni di cella, gli agenti penitenziari, i familiari, i figli… Se li tratti bene e li guardi in faccia anche se hai il cuore pesante. Dio ci vuole migliori nel modo di amare».

Don Virgilio, che conosce bene la realtà del carcere, ha saputo toccare le corde del cuore. Ed è nello scambio di pace, nelle strette di mano e nei sorrisi sinceri che già sembra di cogliere i primi frutti del Giubileo o quanto meno il desiderio di vivere meglio i rapporti con gli altri, anche in piazza Filangieri. I canti continuano ad accompagnare la celebrazione e al termine della Messa, dopo l’immancabile preghiera a Maria nel giorno dell’Immacolata Concezione e con lo sguardo di tutti rivolto alla statua, don Marco prende la parola: «Nei prossimi giorni per chi lo desidera, noi cappellani passeremo in ogni cella con la lampada del Giubileo. È il segno della presenza di Dio ed è lui che chiede di essere accolto».