Gli studenti di origine straniera dell’Istituto professionale Verri di Busto Arsizio si sono raccontati nel libro «Un passo indietro», al centro di un reading a Magenta il 14 maggio, vigilia della Festa delle Genti

di Stefania CECCHETTI

1-127671

La scuola è il vero banco di prova dell’integrazione. Lo sanno bene gli studenti stranieri dell’Istituto professionale Verri di Busto Arsizio, autori di un bellissimo libro dal titolo Un passo indietro, scaricabile gratuitamente dal sito della scuola. Il volume sarà oggetto di un reading animato sabato 14 maggio alle 16.30 al Centro Paolo VI di Magenta, nell’ambito degli eventi in preparazione alla Festa diocesana delle Genti, che si terrà a Rho domenica 15.

Un passo indietro è un libro di storie. Storie di ragazzi arrivati in Italia da tante parti del mondo, oppure nati qui, ma con un pezzetto di cuore che batte nella terra d’origine dei loro genitori. Storie commoventi, di dolore, ma anche di speranza. Storie che, in fondo, raccontano il percorso difficile, ma inesorabile dalla migrazione verso l’integrazione. Storie di ragazzi di seconda generazione, potremmo dire a buon diritto, anche se “tecnicamente” molti di loro non sono nati in Italia.

Come Anxhela, venuta dall’Albania in cerca di una speranza per la sua malattia ai reni: «Anche se il mio Paese, i miei parenti e i miei amici mi mancano e li ho sempre nella mente e nel cuore, devo dire che l’Italia mi ha regalato amore, gioia e accoglienza. […] La mia vita, oggi, posso descriverla come “un bel film”, perché è sempre piena di belle sorprese, nonostante tutto. L’attrice principale sono io e spero di realizzare i miei progetti e i miei sogni perché so che la vita, anche se può essere difficile, resta meravigliosa».

Invece Yolanda, con i genitori fuggiti dalla guerra in Angola, è nata in Italia: «Dovrei dire che sono italiana, essendo nata qua, ma in realtà fino a questo punto della mia vita non sono sempre riuscita a identificarmi come tale. […] Le mie aspettative e le mie emozioni sono crollate quando ho scoperto una “cosa” che non avevo mai conosciuto prima: il razzismo. Alcuni miei compagni delle medie erano davvero razzisti: mi prendevano in giro, mi davano fastidio […]. Qual era il problema? Ero nata qui e quindi sarei dovuta essere riconosciuta come “italiana”, io stessa mi consideravo italiana». Per fortuna oggi Yolanda si descrive così: «Sono davvero contenta di essere in questa scuola perché, oltre ad amici stranieri, mi sono fatta tanti amici italiani. Ora vado a scuola con la certezza che vivrò degli anni indimenticabili».

L’idea di raccogliere queste e altre storie in un libro è nata nel 2012 all’interno del Progetto Intercultura, da diversi anni attivo all’’Istituto Verri. Racconta la professoressa Caterina Stefanazzi, docente di italiano, all’epoca referente del progetto: «Quell’anno gli studenti di origine straniera erano 250 su 1600. Mi sono chiesta cosa potesse accomunarli. Così li ho convocati e ho chiesto di raccontarsi, convinta che, nel momento in cui un essere umano ti svela la sua storia, smette di essere straniero. Inaspettatamente 60 ragazzi mi hanno risposto mi hanno fatto pervenire i loro scritti nei modi più impensati, su foglietti volanti, consegnati da compagni per non svelare la propria identità. Ho pianto per ciascuna di quelle storie».

Il materiale era talmente interessante che la professoressa ha organizzato una redazione con ragazzi italiani: hanno selezionato i racconti e con piccole modifiche hanno dato loro credibilità letteraria. Un’operazione dal grande valore anche didattico: non solo per i redattori, ma anche perché i 17 racconti selezionati e diventati un libro sono ancora oggi materiale didattico per le classi del biennio dell’Istituto.

Il lavoro più grande non è stato comporre il volume, ma convincere gli autori a uscire dall’anonimato: «Avevano paura di essere classificati definitivamente come “stranieri”», spiega Stefanazzi. Invece avviene esattamente il contrario. Il libro suscita rispetto e riempie di commozione gli spettatori del Teatro Sociale di Busto Arsizio quando, il 13 dicembre 2013, viene portato sulle scene e recitato dagli stessi autori. Un grande passo per loro, come spiega Stefanazzi: «Hanno dovuto superare i problemi linguistici e la timidezza e alla fine si sono trasformati: sono usciti dal bozzolo della paura del confronto con il pubblico italiano per diventare protagonisti indiscussi».

Questa esperienza può insegnare molto sull’integrazione, racconta Riccardo Patriarca, uno studente del Verri che ha contribuito alla realizzazione dello spettacolo come voce narrante: «Ho imparato che non esiste la diversità, siamo solo persone e siamo tutti uguali. Quello che ci rende stranieri non è il Paese da cui proveniamo o il colore della pelle, ma solo il fatto che non ci conosciamo».