Don Massimo Pavanello: «Le opere di carità debbano essere con più forza ricollegate al percorso di conversione»
A coordinare le attività giubilari nella parrocchia Madonna della Misericordia c’è don Massimo Pavanello. Con lui facciamo qualche approfondimento sull’Anno santo a Bresso.
Oltre ai numeri cospicui, registra una qualità dei pellegrinaggi?
I fedeli che attraversano la Porta santa arrivano preparati. Qualcuno chiede, al momento, informazioni spicciole su come godere della Grazia giubilare, ma il desiderio che li ha portati sin qui è precedente e puro. Nessuno entra per caso. Tutti per decisione.
Uno stile riscontrabile anche nelle confessioni?
La maggior parte dei pellegrini che giungono a Bresso si è già confessata altrove. Diverse sono le chiese penitenziali della Zona pastorale, così come i santuari, luoghi in cui è più facile trovare comodità per celebrare il sacramento. Tuttavia, penso per esempio alle occasioni della Prima Comunione e della Cresima, moltissimi genitori si sono confessati avendo in mente l’Anno santo e le sue istanze. Diverse sono state le “confessioni generali”, di persone cioè che sono tornate indietro con il ricordo chiedendo perdono di peccati anche lontani nel tempo e sinora mai accusati. Peccati che l’opinione pubblica ha magari derubricato, ma che la retta coscienza non riesce a zittire.
La chiesa di Bresso, tra quelle giubilari diocesane, è una delle poche che è pure parrocchia. C’è una specificità che si riesce a trasmettere?
Sul territorio sono praticate tutte le opere di misericordia. Tuttavia il filone più trasversale, specifico e di annuncio mi sembra resti quello legato ai funerali. Solo il 20% degli italiani frequenta la Messa domenicale, mentre il 95% sceglie il funerale religioso. Questa opportunità cogliamo. Sapendo noi, e dicendo ai presenti, che la circostanza porta a vivere ben tre opere di misericordia contemporaneamente: pregare Dio per i vivi e per i morti; consolare gli afflitti; seppellire i morti. Verbalizzando ciò nell’omelia, si nota subito un cambiamento di clima celebrativo. Nessuno si sente escluso, tutti comprendono che il giubileo è una realtà vicina ed è possibile farsi toccare da essa.
C’è qualche punto debole, secondo lei, che invece andrebbe irrobustito?
Il punto debole, in generale, mi sembra dato dal fatto che il presente giubileo sia vissuto in maniera un po’ intimistica e devozionale. Prevale la coscienza singola, meno la ricerca di giustizia sociale. Un aspetto non trascurabile invece nel giubileo biblico. Quasi tutti i fedeli, senza dubbio, si spendono in opere di carità laddove vivono. Ma la mia percezione è che queste opere debbano essere con più forza ricollegate al percorso di conversione.