Il cardinale Scola ha guidato, per le vie del centro di Milano, la Via Misericordiae, gesto giubilare proposto a tutta la città per non dimenticare chi è in carcere. Migliaia i fedeli partecipanti a quello che l’Arcivescovo ha definito «un gesto stabile e potente»

di Annamaria BRACCINI

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«È difficile pregare e credere quando ci si sente abbandonati dall’umanità». Non si può non pensare a queste parole, scritte da alcuni detenuti, osservando la massa di persone che ha scelto, in una sera ancora pienamente invernale, di camminare dietro la croce, per le vie del centro di Milano, arrivando, appunto, davanti al carcere di San Vittore. E, allora, sono davvero un regalo le tre preghiere – “Cristo, io sono carcerato”, “Non ho altro da offrirti che me stesso”, e “Padre, abbi misericordia”, composte rispettivamente dai carcerati di Opera, di Bollate e di San Vittore –, che vengono offerte a tutti perché si usino come propria invocazione personale e comunitaria 
La Via Misericordiae è questo per le oltre tremila persone che affollano, prima, la basilica di Sant’Ambrogio per arrivare, poi, davanti alla basilica di San Vittore e ascoltare, infine, il cardinale Scola in piazza Filangieri, davanti all’ingresso della storica Casa circondariale di Milano.     
Si prega, si canta, si riflette attraverso la Parola di Dio e ciò che hanno scritto i reclusi, idealmente sempre presenti in questa Celebrazione itinerante con e per i detenuti che si fa «scambio, nella Misericordia, tra chi sta “dentro” e chi sta fuori». 
Accanto all’Arcivescovo ci sono il Vicario episcopale per la Zona pastorale di Milano, monsignor Carlo Faccendini – la Veglia è evento giubilare per l’intera città di Milano e parte integrante della Celebrazione eucaristica continua “24 ore per il Signore” –, l’abate di Sant’Ambrogio e Vescovo ausiliare, monsignor Erminio De Scalzi, i Cappellani. E c’è la gente, che continua ad arrivare, anche a Rito iniziato, i sacerdoti, gli Scouts, i ragazzi del Coro Shekinah e il Coro I.ch.e.a Interparrocchiale di Milano che animano la liturgia. Tutti insieme per «tenersi in contatto attraverso Dio» con chi sta scontando la propria pena dietro le sbarre, «in questo luogo di dolore e di riscatto che separa dagli affetti».  . 
E, così, l’episodio del Vangelo di Luca, con la peccatrice che lava i piedi a Gesù nella casa del fariseo, arricchito da tre commenti scritti dai detenuti del Reparto clinico, del “Femminile” e del Terzo raggio di San Vittore, diviene la cifre emblematica  nell’omelia pronunciata, davanti al Penitenziario, dal Cardinale che porta la grande e semplice croce di legno e accoglie la lampada della misericordia accesa all’apertura dell’Anno Santo nella Casa circondariale. 
A tutti i fedeli – non mancano la direttrice di san Vittore, Gloria Manzelli, gli agenti di Polizia penitenziaria, i volontari – si rivolge l’intensa parola dell’Arcivescovo che prende avvio proprio dal brano di Luca. «Chi è questo uomo che perdona? Anche noi dobbiamo porci la questione. Non abbiamo bisogno di questo sguardo? Chi di noi è libero dal peccato, ma soprattutto chi può liberarsi da sé dal peccato?». 
Una parola, quella di peccato – nota Scola – che pare essere stata eliminata dal nostro vocabolario di autogiustificazione, per cui al massimo, provando un poco di senso di colpa «che è solo l’atrio del dolore dei peccati» «si parla di errore o di svista». Eppure, «questo gesto di stasera parla da solo, per la nostra Milano che di perdono ha bisogno, come tutte le città del mondo». 
Cita, l’Arcivescovo, i carcerati stessi –, «dobbiamo cercare Gesù, incuranti dei giudizi, sicuri del suo appoggio, forti nella misericordia, ogni volta che incontriamo Gesù nella Messa dobbiamo accettare di sentirci peccatori per sentire la dolcezza del perdono» – e osserva: «Cercare il volto di Cristo, sarebbe già un contributo ecclesiale e civico di straordinaria portata». 
E, poi, ancora, le frasi del “Femminile” sulla donna che circonda di amore non possessivo Gesù  – «per favore, non rubateci l’Amore vero, non rubateci la speranza» –, per cui il Cardinale dice: «Il commento stupendo di queste donne, da cui ci sentiamo profondamente toccati, testimonia che laddove c’è solo possesso non c’è amore». 
Al contrario, riconoscere i nostri errori aiuta a costruire responsabilità verso gli altri e ci offre stimoli per crescere: «Quando prendiamo un momento di respiro dal nostro ritmo di vita indiavolato e ascoltiamo chi è nella giusta espiazione, chi è capace di andare al fondo di sé, domandiamoci se anche noi, nel nostro “autismo” incapace di comunicazione, non siamo “chiusi” e come “pietrificati”»   
«Questo nostro camminare per le vie è l’espressione potente di Cristo che dà senso alla nostra vita nelle gioie e nel dolore, nelle ansie e nelle speranza. È un passo, un segno stabile per la Chiesa, per le realtà associative, per la Milano metropolitana e per tutte le terre ambrosiane. Avviciniamoci alla Pasqua senza dimenticare il Sacramento della Riconciliazione e doniamo qualcosa di noi stessi, qualche gesto di amore, soprattutto agli ultimi e ai bisognosi. Abbiamo in comune Gesù, questa è di gran lunga la comunanza più decisiva». 
Una fratellanza che si esprime, a conclusione, nel partecipato gesto di misericordia proposto, quale simbolico digiuno penitenziale, raccogliendo offerte per finanziare borse lavoro a favore di chi è uscito dal carcere.