La Basilica di Sant’Ambrogio gremita di atleti, tecnici, dirigenti e rappresentanti istituzionali per il Giubileo degli Sportivi, con la Veglia di preghiera e il passaggio della Porta Santa con l’Arcivescovo. Il Cardinale: «Siete i più importanti educatori della nostra comunità giovanile»

di Annamaria BRACCINI

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«Un Giubileo di perdono e di conversione, un Anno della Misericordia che, per noi sportivi, è come potersi riprendere da un infortunio». Forse è anche per questo che, nella sera in cui si gioca una partita importante per quella amatissima e diffusissima “religione” che è il calcio, sono comunque tanti gli atleti, gli allenatori e i dirigenti sportivi che vivono il loro Giubileo, con una Veglia di Preghiera e il passaggio per la Porta Santa della Basilica di Sant’Ambrogio. Accolto dall’abate e vescovo ausiliare monsignor Erminio De Scalzi, il cardinale Scola, dopo l’intensa invocazione iniziale, apre il pesante e antico portale centrale, affiancato da don Alessio Albertini, consulente ecclesiastico nazionale del Centro Sportivo Italiano e segretario della Commissione Diocesana per lo Sport, e da don Samuele Marelli, direttore della Fondazione degli Oratori Milanesi e anch’egli consulente del Csi.

Ci sono i campioni, come i fratelli Giuseppe e Franco Baresi, gli atleti delle Fiamme Gialle e della Polizia di Stato, i rappresentanti delle istituzioni (l’assessore regionale allo Sport Antonio Rossi e quello comunale Chiara Bisconti, in rappresentanza del Sindaco di Milano, Anna Scavuzzo, consigliera delegata alla politiche giovanili della Città Metropolitana), ma soprattutto c’è chi si impegna ogni giorno nelle società sportive parrocchiali capillarmente diffuse sul territorio: in Diocesi di Milano, ben 850, per un totale di circa 80 mila iscritti, tra cui 10 mila adulti.

Nella bellezza di Sant’Ambrogio, resa ancora più splendente dalla nuova illuminazione, vengono alla mente gli scandali sportivi, le polemiche, le disonestà, che pure ora sembrano lontanissimi, ascoltando le musica suggestiva eseguita dal Coro interparrocchiale dei Giovani della Città di Milano e le “Storie di Misericordia”. Testimonianze vere come quella, particolarmente straziante, del Plata Rugby Club, «giovani che amano e lottano per la palla ovale» e che, invece, durante la dittatura del generale Videla e il terrificante periodo dei Desaparesidos, si ritroveranno a combattere per la loro vita e a sostituire uno a uno i compagni uccisi, finché resterà solo Raul a raccontare l’orrore. Poi la vicenda notissima di Jesse Owens e di Luz Long, l’atleta idolo di Hitler, che pure aiutò il grande campione di colore a vincere l’oro nel salto in lungo alle Olimpiadi di Berlino, “strappando” gli 8 metri e 13 centimetri. Faranno insieme – il nero e il bianco, la razza inferiore e l’ariano – il giro d’onore nello stadio berlinese. Era il 1936 e ci voleva coraggio, ma fu «il momento più bello, con un uomo coraggioso che non dimenticherò mai», dirà Owens.

Una vicenda, questa, che rimane uno dei momenti più alti dello sport per “uomini veri”, capaci di formare le coscienze e di comprendere la grande responsabilità loro affidata. «Quante migliaia di persone si esaltano per i vostri gesti, vi guardano», dice l’Arcivescovo, rivolto direttamente agli atleti. L’invito è a riflettere nel profondo di se stessi, alla ricerca del vero senso della vita: «La parola peccato è scomparsa dal nostro linguaggio comune e, al massimo, si parla di “errore”. Per questo molti, tra i cinque milioni di battezzati della nostra terra ambrosiana, e anche noi, diventiamo sordi all’amore di Gesù, pur vivendo con buone intenzioni e con il desiderio di fare bene».

La questione è appunto comprendere che «se l’esistenza non ha una direzione e un significato, tutto perde di valore – spiega il Cardinale -. «Anche un grande calciatore, un campione, se non cerca la vita autentica, alla fine non “tiene”, perché ci vuole forza e perseveranza per fare squadra. Raramente ho trovato un atleta che abbia potuto reggere per anni, anche dopo l’attività sportiva, se non ci sono il cuore e un’intelligenza in grado di indicare i limiti dell’agire e dell’uomo. Noi vogliamo, invece, riconoscere il nostro peccato, per questo siamo insieme stasera». Da qui l’impegno «a riconoscere l’amore misericordioso di Gesù, che è il Buon Samaritano – questo il brano evangelico proposto nella Veglia – per quell’uomo “percosso e privato di tutto” che siamo tutti noi: «Chiedendo perdono apriamoci a Colui che non aveva mai commesso peccato, ma, lasciandosi trattare da peccato, è il volto della Misericordia che trasforma la nostra lontananza e inimicizia con Dio nel nostro riscatto».

Poi, ancora un monito, quasi affettuoso: «Voi siete di fatto i più importanti educatori della nostra comunità giovanile, molto più dei professori, dei maestri, dei genitori. I ragazzi guardano continuamente a voi. Dovete essere uomini e donne veri, vivere lo sport come costruzione intera dell’umano, come aspetto che unifica. Questa responsabilità, dai campioni alla base, riguarda ciascuno, perché attraverso lo sport passa la capacità di relazione. Abbiamo bisogno dell’amicizia che rompe il terrore – come quella dei tempi della celeberrima vicenda di Jesse Owens –, ne ha bisogno il nostro Paese intero». Come disse papa Francesco incontrando dei giovani sportivi, «mettetevi in gioco nella ricerca del bene, fino in fondo», cita l’Arcivescovo.

Infine l’applauso e i saluti “caldissimi” di questa “curva sud” molto speciale per un “allenatore” altrettanto speciale, con lo sguardo rivolto al vero e unico allenatore della vita, il Signore.